RIME SU UN TOVAGLIOLO DI CARTA

Luigi Petruzzelli, 1997 - Distribuzione libera per scopo non commerciale, a patto che sia citato l'autore.


Al buon vino, senza il cui prezioso contributo quest'opera non sarebbe stata possibile.

Prefazione Introduzione Depressione Davanti alla peperonata Al lavoro, parte prima
A Laura Alti leviamo i calici Non so che feci Alle mie Muse Un'idea del tubo
"Credi ai fantasmi?" "No, ma ne ho paura." Un incontro Dopo un raboso La mosca L'altro mondo
Il tesoro, 1 Il tesoro, 2 La Tomistica El scial dela spusa Ridi, pagliaccio!!
Brindisi al matrimonio Le metriche software

PREFAZIONE per la versione Internet

Queste sono rime scritte soprattutto nella pausa pranzo, al lavoro, quando non so che fare. Sono improvvisate, e buttate giù in fretta (vedete anche indicato in quanto tempo). Lo spirito è quello dell'improvvisazione: per questo resisto alla tentazione di correggere ciò che non funziona, e lo lascio così com'è anche se è brutto. Accetterò critiche da chi sa scrivere un sonetto italiano acrostico in meno di quaranta minuti.

Attualmente la versione riportata è incompleta: un po' perchè devo trovare il tempo, un po' perchè quanto omesso è più brutto del resto, un po' perchè pubblicherò quelle dedicate solo se il destinatario non sarà riconoscibile.

Non ho tempo, così l'introduzione (per ora) finisce qui.

Luigi Petruzzelli, 8 Giugno 1997


1995-11-02, Pranzo

I. INTRODUZIONE

I versi che da qualche tempo scrivon
per colpa mia, può darsi, non comprendo:
e preferisco quelli che ci arrivon
da più vetuste età, ed onor gli rendo.

Il contenuto serio e lacrimoso,
la forma a forza nuova e innovatrice...
Questo è per me qualcosa di schifoso:
cornuto a chi li scrive, e a chi no ‘l dice.

La metrica dev’esser rispettata, 
e gli argomenti esser più leggeri:
ed ogni rima in fretta va vergata,
sì che i tuoi versi scorran freschi e veri.

Pertanto la mia opra si propone
in ogni dì, nel pranzo della pausa,
oppur a sera, accanto a un buon piattone,
d’un buon bicchier di vin commosso a causa,

rapidamente scriver qualche rima,
in metro vario eppur sempre preciso.
E troverai, Lettor, dall’opra prima
in fondo al foglio (né ti muova al riso!)

il tempo ch’io ci misi in ogni scritto.
Ma già ho finito, e m’appropinquo al vitto.

25 min.

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1995-11-07, Cena

III. DAVANTI ALLA PEPERONATA

Tanto gustoso e tanto buono pare
lo cibo mio, mentre dal piatto fuma;
e già sotto il mio sguardo si consuma,
e più non lo finisco di laudare.

Nei peperoni il pane vo a puciare,
di birra bagno il labbro nella schiuma;
e l’occhio, prima triste, si enalluma,
e tutto lieto inizio poi a ruttare.

O peperon, da quanto v’aspettavo,
stufo di carciofoni e di zucchine,
di pranzi consumati in troppa fretta;

da quanto tempo triste vi pensavo,
in foschi giorni, in gelide mattine...
ma questa notte avrete voi vendetta!

20 min.

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1996-07-12, Pranzo

VII. NON SO CHE FECI

Seduto quieto sopra una panchina
vo pigramente scribacchiando versi;
ripenso a quel che preparai in cucina,
e a quanto cossi: sono ben diversi.

“Versi per pranzo e cena: due ogni giorno”,
questo mi proponevo di Novembre.
Tra un primo, un antipasto ed un contorno
saranno venti in tutto per Settembre.

Sarà perchè son pigro, e la pigrizia
mal si concilia con chi scriver vuole.
Volli, scrivendo, vincer la mestizia,
cantando di tegami e casseruole;

mi accorgo, nel veder quello che ho scritto,
che fui sol all’inizio a me fedele:
se a pranzo gusti solitario il vitto
ogni bontà può trasformarsi in fiele.

Così, mangiando questa mucca pazza,
osservo attento, purché sia carina,
ciò che passando mostra ogni ragazza.
Ch’altro ho da far, su questa mia panchina?

30 min.

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1996-07-15, Pranzo

VIII. ALLE MIE MUSE

Perdono, Muse mie, chiedo perdono
se prima il vostro aiuto non richiesi,
se umile il vostro grande dono
non invocai con rime più cortesi,
se, nello strimpellar la cetra, il suono
salì pel vino nei trascorsi mesi.
Sono pentito, e per mia punizione
d’acqua berrò (che dico!) un bicchierone.

Eppure sono certo che capite,
se pria di voi ebbi a cantar del vino:
voi, Muse mie, le tavole imbandite
amate frequentar, sera e mattino,
da cibi prelibati ingolosite
sapete ben mostrar palato fino.
Già il buon Teofil, nelle età trascorse,
pur con diversi nomi a voi ricorse.

Non siete magre, state bene in carne,
pur non esagerando con la ciccia;
lepri e pernici, cinghialetti e starne
vi son graditi quanto la salsiccia;
pur apprezzate il pesce, sì che farne
non sa abbastanza il mar. “Basta, ti spiccia!”
Mi sbrigo: so che a ciaschedun discorso
voi preferite di buon vino un sorso.

Chiedo di te, Sbevante, l’intervento,
da mille e più coppiere circondata;
e te, Bracciola, con più mite accento
invoco, guida esperta alla grigliata;
e Peperona, ed Urfida, e Tripento,
e Beppa, che sei sempre avvinazzata:
siate benigne con un miser cuoco,
e canterò di voi attizzando il fuoco.

30 min.

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1996-09-12, Pranzo

XIII. LA MOSCA

Bello ingozzato, sopra una panchina,
al sole di Settembre mi crogiòlo:
senza far nulla, dopo la mattina,
svaccato passo il tempo, zombie e solo.

Io son come una mosca
quando l’estate muore:
sto qui rincoglionito,
né gioia né dolore.

Son come una lucertola
appesa sopra un muro,
che dorme al caldo, e credesi
che il porto sia sicuro.

Son come il cane Ròtolo,
sdraiato sul letame,
che, ribaltato e putrido,
soddisfa le sue brame.

Sono la tartaruga
che occhieggia dallo stagno:
lo sguardo perso e torpido,
di ciò pur non mi lagno.

Sono un vampiro nel suo sacello,
sono un maiale sul suo trogòlo,
sono il Fantasma nel suo vascello,
sono il formaggio sopra un raviolo...

Come una pianta, senza alcun pensiero,
potrei passare questo giorno intero;
ma già la pausa termina, ed allora
mi tocca andar a lavorare ancora.

20 min.

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1996-09-13, Pranzo

XIV. L’ALTRO MONDO

Anche in una città come Milano
un angolo tranquillo puoi trovare:
un altro mondo, che si sta lontano
da traffico, rumor, luci, fanfare.

Una stradina verde, e su d’un lato
qualche villetta con il suo giardino.
“Ancora sto in città?” meravigliato
mi chiedo mentre lento m’incammino.

I lor cancelli stan sbarrati e chiusi,
una finestra aperta sta, solinga.
Dall’altra parte, di lontan confusi,
vedo brillare un ago e una siringa.

Una siringa come da insulina,
e un’altra, e un’altra in una gomma infitta;
più in là un preservativo, e, a lui vicina,
“Tossici” sopra un muro sta la scritta.

Chissà quel che succede qui di notte:
buchi, sniffate, succo di limone,
viados, gente in cerca di mignotte,
gente fuori di testa o di prigione...

Tutti a fuggire, tutti a andar lontano;
chi preferisce un modo, chi un secondo.
Ecco: d’una città come Milano
è solamente questo l’altro mondo.

25 min.

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1996-10-11, Pranzo

XIX. RIDI, PAGLIACCIO!!

Che bello, com’è semplice
cantare per il vino
scordando i guai, le trappole,
gli strali del Destino.

Come uno struzzo mettere
la testa nella sabbia,
come un coniglio essere...
Dimentica, con rabbia!

“Perchè”, dirai, “non scriverne?”
Forse per la paura:
dopo ti tocca leggerli,
ed è una prova dura.

Pensi, ripensi, mediti
come uno scarafaggio
che nel deserto in circolo
gira, e non hai il coraggio

come fa lui d’ammettere
che sei senza una meta,
che tutto il tuo gran correre
non vale una moneta.

Sangue, sudore, lacrime:
questo promette il mondo,
e dall’amaro calice
si beve fino in fondo.

Canta del vino: è facile.
E canta dei banchetti,
dei dolci con le fragole,
dei porri e dei gianchetti...

Ridi! Pur si può scorgere
la rabbia nel sorriso,
la rabbia che dissimula
il duolo del tuo viso.

23 min.

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Ultimo aggiornamento 1997-06-08